La ricetta

Questo racconto non può che iniziare con la tipica abbanniata (dal verbo bandire ovvero dare pubblico avviso ad alta voce) che si è soliti sentire per le strade di Palermo quando passa lo sfincionaro. L’abbanniata avviene grazie all’ausilio dei megafoni che i venditori ambulanti piazzano sul tetto della loro Ape per attrarre a sé la più variopinta clientela.

Studenti, massaie, impiegati, e anziani sono tutti sedotti “ru ciavuru” (profumo) che si sprigiona al loro arrivo. Nel caso di vendita per strada si parla di sfincionello, uno sfincione a forma oblunga reso più soffice grazie alla presenza dello strutto mentre e nel caso di vendita nei panifici si parla del più classico sfincione.

Che si parli di sfincione oppure di sfincionello, in entrambi i casi questo prodotto è sinonimo di palerminanità ed è il re indiscusso dello street food cittadino, presente nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) del Ministero delle politiche agricole.

Questo racconto non può che iniziare con la tipica abbanniata (dal verbo bandire ovvero dare pubblico avviso ad alta voce) che si è soliti sentire per le strade di Palermo quando passa lo sfincionaro. L’abbanniata è realizzata grazie all’ausilio di megafoni che i venditori ambulanti piazzano sul tetto della loro Ape per attrarre a sé la più variopinta clientela.

Studenti, massaie, impiegati e anziani saranno sedotti “ru ciavuru” (profumo) che si sprigionerà al loro arrivo. Nel caso di vendita per strada si parlerà però di sfincionello (clicca qua), il quale prevede una forma allungata e una consistenza soffice dovuta alla presenza dello strutto. Nel caso di vendita nel panificio parleremo invece del classico sfincione che prevede un impasto molto più spugnoso e condito.

Che sia sfincionello oppure sfincione, in entrambi i casi parleremo del re indiscusso dello street food cittadino, presente nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) del Ministero delle politiche agricole.

Se venduto per strada, l’ape sulla quale viaggia il venditore ambulante sarà dotata di un megafono dal quale verranno recitate in dialetto le seguenti parole:

– Ma chi spicialità, chi cosi belle, io ciù fazzu all’antica viaru. Chi ciavuru!!! Chistu è sfinciuni fattu ra bella viaru. Chi ciavuru!!! Chi specialità, chi cuose belle! Io u pitittu ci fazzu grapiri. E’ beddu cavuro e bellu vieru. Uora u sfurnavu, uora. Si tastanu sti specialità, si tastanu. Chi ciavuru! Chi cuose i capricciu e chi cuose belle.

– Ma che specialità, che belle cose, io lo preparo come lo facevano all’antica. Che profumo!!! Questo è uno sfincione fatto veramente bene. Che profumo!!! Che specialità, che
cose buone! Io vi faccio venire l’appetito. E’ bello caldo e davvero buono. L’ho sfornato proprio adesso. Queste specialità si devono assaggiare. Che profumo! Questi sono
dei capricci e delle cose buone.

Nonostante nessun palermitano possa smentire la bontà di questa preparazione, i benpensanti dicono che lo sfincione venduto per strada è “scarsu ruogghiu e chinu i provulazzu” cioè scarso d’olio e pieno di polvere e così preferiscono comprarlo nel panificio dove viene venduto in teglia.

Il nome sfincione deriva dal latino “Spongia” che vuol dire spugna perché fatto con una pasta spugnosa, molto morbida e soffice, condita con una salsa a base di pomodoro, tanta cipolla, acciughe, caciocavallo e pan grattato.

Notizie storiche riferiscono che lo sfincione sia stato inventato dalle suore del monastero di San Vito a Palermo e che sia nato con lo scopo di presentare in tavola a Natale un piatto diverso dal solito pane schittu (senza companatico).

Al giorno d’oggi però, oltre a gustarlo durante il corso dell’anno è usanza diffusa mangiarlo sia la notte tra il sette e l’otto dicembre in occasione della festa dell’Immacolata ed anche alla vigilia di Natale. Questa preparazione semplice e non troppo leggera avrà il compito di aprire i lauti pranzi che si concluderanno il giorno dell’epifania.

Nel giorno dell’Immacolata che funge da preludio alle feste ed in cui la tappa successiva sarà il tredici dicembre, giorno di S. Lucia in cui si mangeranno le arancine (clicca qua), si mischierà il sacro al profano. Da una parte infatti ci sarà la devozione alla Madonna e la partecipazione alla S. messa mattutina e dall’altra le giocate a carte.

Il palermitano inizierà l’organizzazione di questo evento con settimane di anticipo. La frase più ricorrente sarà: chi faciemu pa Maruonna stannu? Runni ni viriemu? Ovvero, cosa facciamo il giorno della Madonna quest’anno. Dove ci vediamo?

Qualunque sia la decisione sul dove inaugurare le feste una cosa è certa, sarà organizzata una giocata a casa di ogni componente del gruppo. Tra i giochi più diffusi ci sarà il mercante in fiera, il cucù, il sette e mezzo oppure il ti vitti.

I salotti si trasformeranno in bische legalizzate in cui le tovaglie lasceranno il posto ai panni di colore verde che avranno l’onore di vedere più soldi del salvadanaio che la nonna alimenta ormai da anni. Qualcuno all’improvviso richiamerà l’attenzione chiedendo di fare un break e a quel punto anche la buona e vecchia tombola tornerà ad avere il suo posto d’onore insieme ai numeri in legno rossi e alle cartelle con le finestrelle.

Del resto non c’è fretta di tornare a casa, tanto l’indomani è l’otto dicembre, non si lavora e né tantomeno si va a scuola. Chi non ama giocare siederà sui divani adiacenti al tavolo da gioco. Con un orecchio seguirà le agguerrite partite e con l’altro ascolterà le conversazioni che i non avvezzi al gioco si scambieranno in quel clima di festa.

Per me l’Immacolata vuol dire questo ma anche altro. Rappresenta la famiglia, il calore di casa ma soprattutto l’appartenenza ad una comunità con cui condividere la vita e i valori. Da ragazzino la vigilia la trascorrevo da qualche amico a riscaldare il divano perché che non amavo particolarmente il gioco. Ma l’indomani era il giorno in cui si stava con i parenti, si mangiava insieme, ci si scambiavano gli auguri e si festeggiava anche il compleanno di mia mamma, nata per l’appunto l’otto dicembre.

E così, dopo avere mangiato sfincione fino a tarda notte, l’indomani mi svegliavo con le narici ricolme di fritto proveniente dalla cucina. Cardi, broccoli e carciofi erano solo alcune delle pietanze che mi ricordavano che anche quel giorno lo avrei trascorso a mangiare.

Ma in fondo si sa, sono queste le cose piacevoli della vita, condividere con le persone che si amano momenti di gioia in cui il cibo è il compagno fedele di piccole e grandi emozioni. Le stesse emozioni che quando le si vivono non ci si accorge del loro valore ma che da adulti pagheremmo per poterle rivivere, magari con coloro che non sono più tra noi.

Difficoltà

Media

Dosi Per

6 Persone

Preparazione

4 Ore

Cottura

30 Minuti

Lista ingredienti per la base

425 gr. di farina 00

75 gr. di semola di grano duro

20 gr. di zucchero semolato

10 gr. di sale

25 gr. di olio d’oliva

12 gr. di lievito di birra fresco

250 ml. di acqua a temperatura ambiente

ingredienti per il condimento

500 gr. di cipolle bianche

200 gr. doppio concentrato di pomodoro

3 acciughe sott’olio

Olio d’oliva q.b.

100 gr. d’acqua naturale

Sale q.b.

Zucchero q.b.

Origano q.b.

Pepe q.b.

Lista ingredienti per la guarnizione

Caciocavallo fresco a cubetti q.b.

Acciughe sott’olio q.b.

Pan grattato q.b.

Caciocavallo grattugiato q.b.

Origano

Olio d’oliva

Utensili richiesti

Una teglia da 30×40 cm. circa

Il procedimento per la base

1

Versiamo le due farine nella planetaria, mescoliamole, azioniamola e versiamo l’acqua a piccole dosi in cui avremo sciolto il lievito e lo zucchero. Quando l’impasto sarà ancora un po’ grezzo aggiungiamo l’olio, dopo un po’ il sale e continuiamo ad impastare fino a quando non si staccherà dalle pareti della planetaria.

2

Trasferiamo l‘impasto su un piano da lavoro non infarinato, impastiamo ancora un po’ a mano ma non troppo, formiamo una palla e copriamola con una ciotola lasciandola riposare per 10 minuti. Trascorso questo tempo facciamo qualche piega di rinforzo, pirliamola (roteandola tra le mani) e una volta che avrà assunto una forma sferica riponiamola dentro ad un contenitore coprendola con della pellicola trasparente e adagiando sopra uno strofinaccio. Lasciamola riposare per tre ore dentro il forno con luce spenta.

Procedimento per il condimento

1

Tagliamo le cipolle a fettine sottili, aggiungiamo 100 gr. d’acqua e facciamole appassire a fuoco dolce. Quando l’acqua sarà stata assorbita aggiungiamo l’olio d’oliva e appena inizia a rosolare inseriamo anche le tre acciughe che faremo sciogliere completamente. A questo punto aggiungiamo 200 gr. di doppio concentrato di pomodoro, 600 gr. di acqua, il sale, un po’ di zucchero e cuociamo fino a quando il sugo non acquisirà una consistenza morbida. A questo punto lasciamo raffreddare.

Procedimento per assemblare lo sfincione

1

Trascorse tre ore dalla lievitazione oliamo una teglia, inumidiamoci le mani di olio, stendiamo la pasta iniziando dal centro ed allarghiamola verso i bordi. Se fa un po’ di resistenza oppure tende a ritirarsi lasciamola riposare per qualche minuto e poi riprendiamo a stenderla. Distribuiamo sulla superficie dei pezzettini di caciocavallo facendo un po’ di pressione, dei pezzettini di acciughe e versiamo il condimento con un mestolo livellandolo uniformemente con un cucchiaio. Dovremo mettere un po’ più condimento sui bordi in quanto sono quelli che tenderanno ad asciugarsi in cottura. Riponiamo in forno spento a luce spenta e lasciamo lievitare ancora per un’ora.

2

Trascorso questo tempo tiriamo fuori la teglia dal forno e teniamola da parte in un posto asciutto, accendiamolo a 200 gradi in modalità statica e non appena ben caldo disponiamola per 5 minuti sulla base del forno. Adesso spostiamo la teglia a metà poggiandola su una griglia e facciamo cuocere ancora per 15 minuti circa. A questo punto tiriamola fuori dal forno ancora una volta, spolveriamo del pangrattato sulla superficie senza esagerare, irroriamo con dell’olio d’oliva in maniera uniforme e cospargiamo del caciocavallo grattugiato e un po’ di origano anche in questo caso senza esagerare. Inforniamo ancora per altri 10 minuti. Lasciamo intiepidire lo sfincione fuori dal forno prima di tagliarlo e servirlo.

Utile da sapere!

La lievitazione dipende molto dal calore dell’ambiente circostante. Considerando che lo sfincione non dovrà essere particolarmente alto, dopo la seconda lievitazione, qualora dovesse apparire eccessivamente gonfio, punzecchiamolo uniformemente con la punta di un coltello. A questo punto accendiamo il forno e continuiamo come nel passaggio della ricetta.


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