

La ricetta
In occasione del giorno di Santa Lucia, che cade il 13 dicembre, in Sicilia è tradizione non mangiare né pane né pasta ma preparazioni alternative sia dolci che salate. Tra queste spicca la la cuccia, dolce molto povero preparato con grano cotto e crema di ricotta di pecora! La storia di questa antica tradizione affonda le radici nel cristianesimo e si è mantenuta inalterata fino ai giorni nostri grazie alla devozione degli isolani che non rinunciano alle proprie tradizioni.
Preparare la cuccìa è davvero semplicissimo e potremo portare a tavola qualcosa di originale e unico che piacerà sicuramente ai nostri commensali. Tra le ricette più rappresentative della Sicilia da realizzare con la crema di ricotta non dimentichiamo neppure i cannoli siciliani (clicca qua) e la cassata siciliana (clicca qua) molto indicati anche in questo periodo natalizio.
Essendo la Cucina di Tricchi Trocchi un blog di racconti e di ricette, prima di vedere come si prepara la cuccìa vorrei raccontarti una storia – in questo caso clicca sul tasto “continua a leggere” per saperne di più – se invece vuoi passare direttamente alla sua preparazione, scorri più in basso per andare alla lista degli ingredienti.
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Trascorsa la festa dell’Immacolata in cui si aprono le danze al mese più calorico dell’anno, inizia una sorta di countdown gastronomico che ci condurrà fino ai pantagruelici banchetti delle festività e il cui obiettivo sarà quello di allenare lo stomaco a beneficio del cibo che riceverà nei giorni a seguire.
E’ come se ci si preparasse ad una carestia per superare la quale sarà necessario aumentare la circonferenza addominale per attingere alle adiposità nei periodi di bisogno. Sì, perché a noi piace l’abbondanza e siccome siamo gente di cuore, quando cuciniamo calcoliamo almeno una porzione in più a testa.
Immancabilmente ci si siederà a tavola con un numero di pietanze notevolmente superiore rispetto a quello dei commensali e in cui tavolini, mensole e sedie adiacenti avranno l’obiettivo di accogliere vassoi, piatti, ciotole, pentole, pirofile che non riusciranno a trovare posto nel tavolo strapieno di portate.
Nella testa del siciliano è come se dicembre e gennaio fossero rappresentati da un unico giorno e una sola notte, tant’è che se doveste chiedergli ulteriori dettagli su come abbia impiegato il proprio tempo la maggior parte risponderà con frasi del tipo: “Un mu ricuordu, sacciu sulu ca m’assittavu a tavola u iuornu ri l’Immacolata e mi susivu ca era u siette ri gennaio” (non mi ricordo, so soltanto che mi sono seduto a tavola il giorno dell’Immacolata e mi sono alzato che era il sette di gennaio).
Ma perché, direte voi, hanno perso la memoria? Sono stati rapiti dagli alieni? Hanno assunto sostanze psicotrope? Niente di tutto questo, durante il periodo delle feste hanno solo sbutriato a volontà, termine che indica l’atto con cui, senza ritegno, si ingerisce una quantità di cibo umanamente insostenibile.
Al fine di agevolare la sua deglutizione occorrerà bere fiumi di bevande gasate con lo scopo di generare un fragoroso rutto liberatorio che favorirà l’ulteriore pistio (l’ulteriore pasteggio). La cena si concluderà con il canarino, rimedio digestivo, preparato con acqua, scorza di limone e foglie di alloro che dopo l’ebollizione verrà bevuto caldo eventualmente accompagnato da un po’ di bicarbonato.
La seconda tappa dopo l’immacolata è quella del 13 Dicembre in cui è tradizione non mangiare né pane né pasta. No, aspettate un momento, il fatto che non si mangino questi alimenti non vuol dire che si digiuni, anzi…! I
n occasione di questa festività gli alimenti consentiti saranno arancine o arancini (dipende se preparate nella parte occidentale oppure in quella orientale della Sicilia), la cuccìa, il gateau di patate, detto anche grattò, le panelle e le crocché (a Palermo), solo per citare alcuni cibi. Il motivo è che si celebra il miracolo ad opera della vergine siracusana chiamata Lucia, che implorata a causa di una carestia che aveva colpito sia Palermo alla fine del 600 che Siracusa a metà del 700 esaudì le preghiere facendo approdare nei rispettivi porti un bastimento carico di grano.
I fedeli in preda alla fame, a causa dei mesi di carestia, non lo molirono per farne farina ma lo bollirono immediatamente condendolo solamente con dell’olio. Nacque così la cuccìa, termine che deriva dal sostantivo “cocciu” ovvero chicco e dal verbo “cucciari” che significa mangiare un chicco alla volta. Potevano i siciliani non rendere più buono al palato e più bello alla vista un piatto così semplice? Fu così che aggiunsero la crema di ricotta, il cioccolato fondente e la frutta candita, trasformando quel piatto umile in un tripudio di sapori.
La tradizione si è conservata inalterata fino ai giorni nostri ed anche a casa dei miei, tanto che se chiudo gli occhi e lascio riaffiorare i ricordi questo è quello che sento…
– Driin, Driin, Driiiiiiin (suona ripetutamente il campanello di casa mia come solo lei riusciva a fare)
– Chi è, dice mia madre da dietro la porta. Annamaria, sei tu?
– Sì Ina, apri presto che altrimenti rischio di fare cadere qualche piatto sul pianerottolo e poi chi lo sente tuo marito!
Mia madre apriva la porta e immancabilmente, come ogni anno, la premurosa vicina di casa aveva preparato la cuccìa che per l’occasione aveva servito nel servizio bello, quello con “all’ingiro il perfilo dorato”, come usava dire lei, oltre ad una valanga di arancine alla carne.
Sono cresciuto così, in una famiglia che in realtà erano dieci, cento, mille. Nella mia casa c’era un po’ quella di Annamaria, della Sig.ra Romeo, della Sig.ra Messina, della Sig.ra Palmeri (che mio padre chiamava quella del tonno), della Sig.ra Conigliaro e più in generale di tutte quelle persone che abitavano nel palazzo e con cui mia madre intesseva rapporti che andavano al di là del semplice rapporto di buon vicinato.
Così capitava spesso che andassi a guardare la TV a casa di un vicino, che facessi merenda da un altro oppure che studiassi la Divina Commedia o la matematica da un altro ancora. Il palazzo si trasformava in un unico grande appartamento in cui le porte d’ingresso non rappresentavano una chiusura verso l’esterno ma un lasciapassare al mondo attiguo in un’intimità di relazioni e di emozioni dove i pianerottoli venivano addobbati con piante, quadri, tavolini e sedie quasi a volere evidenziare una continuità che trovava la sua massima espressione in un territorio comune dove non prevaleva il mio o il tuo ma il nostro.
E ancora oggi capita spesso che durante la notte nei miei sogni riveda loro, i miei vecchi vicini, le nostre chiacchierate sui pianerottoli e le pietanze portate in giro tra ascensori e scale in cui le relazioni si trasformano in emozioni. E così, anche dalla mia casa di Milano, quasi a volere emulare qualcosa che mi appartiene di diritto, quando preparo qualcosa di sfizioso suono ai miei vicini e con un sorriso accogliente tendo le mani in ricordo di quella comunione che mi è rimasta nel cuore.
Difficoltà
Facile
Dosi Per
12 Persone
Preparazione
1 Ora
Cottura
Fino a 3 Ore
Lista ingredienti della cuccìa
200 gr di grano tenero
Sale q.b.
900 gr. circa di ricotta di pecora
300 gr. zucchero semolato
80 gr di gocce di cioccolato fondente
80 gr. di zuccata candita (opzionale)
Cannella in polvere q.b.
8 Ciliegie candite
7 scorzette di arancia
Un quadretto di cioccolato fondente
Granella di pistacchio
Procedimento
1
Mettiamo il grano in ammollo per due/tre giorni, cambiando l’acqua ogni 24 ore. Trascorso questo tempo scoliamolo, versiamolo dentro ad una grande pentola, aggiungiamo tanta acqua e cuociamolo (dipenderà dalla qualità del grano e dai giorni di ammollo) fino a quando non risulterà leggermente croccante. Potrebbero volerci anche tre ore. Scoliamolo e lasciamolo raffreddare.


2
In un contenitore versiamo la ricotta, aggiungiamo lo zucchero, mescoliamo bene e setacciamola. Conserviamola in frigorifero se possibile un paio d’ore oppure utilizziamola subito. Aggiungiamo alla ricotta il grano cotto ormai freddo, le gocce di cioccolato, la zuccata candita e mescoliamo ancora per bene. In base alla qualità di grano e all’umidità della ricotta potrebbe essere necessario un quantitativo di crema inferiore. Utilizziamo pertanto tanta ricotta quanta ne prenderà il grano. Per dare la forma dell’immagine è consigliabile setacciare la ricotta solo una volta per evitare che diventi eccessivamente liquida. Qualora invece volessimo servirla in delle coppette dovremo setacciarla un paio di volte.


3
Versiamo il composto dentro ad un piatto e con l’aiuto di una spatola diamo una forma bombata. Aggiungiamo le ciliegie candite, le scorze di arance candite, spolveriamo con del cioccolato grattugiato (usiamo una grattugia per julienne), della cannella ed infine cospargiamo la base di granella di pistacchio.


4
Disponiamo in frigorifero la nostra cuccìa in modo da farla rassodare per bene fino a quando la consumeremo. Potremo tagliarla a fette come se fosse una cassata e la potremo servire ai nostri commensali aggiungendo sul piatto ancora un po’ di pistacchio.




Utile da sapere!

Per accorciare i tempi di cottura potremo utilizzare una pentola a pressione e cuocere il grano per circa un’ora.
Noi (prov. Messina) facciamo il minestrone con 13 ingredienti che chiamiamo cuccia ( oltre alla cuccia dolce, tradizione importata).
Ciao, questo minestrone mi interessa molto, adoro tutte le tradizioni della nostra terra. Mi informerò per saperne di più. Grazie per averne parlato.
Ma che ci fai a Milano? Vieni a Roma!
1° è più vicina alla Sicilia
2° non c’è la nebbia
3° potresti avere una vicina come me…… siciliana doc, con tanta voglia di imparare e condividere (non fantasticare potrei essere tua madre per età)
Adesso ciao vado a comprare la ricotta e il grano anche se ne abbiamo già 14
Buona giornata
Ciao Maria e buona giornata anche a te… Sai che a Milano la nebbia non c’è quasi più? Ahahahahhaah!!! Grazie comunque per seguire il blog. Un abbraccio. Patrizio
Io la faccio o salata con sale e olio oppure dolce con il vino cotto oppure con crema semplice e sono dalla Sicilia orientale vicino Ragusa
Ciao Margherita e benvenuta. Sai cosa amo della Sicilia? Che abbiamo tradizioni diverse ma che al contempo si accomunano tutte perché figlie della stessa terra. Conosco quelle versioni e sono effettivamente molto buone. Un abbraccio. Patrizio
Non vedo l’ora di mangiarla, domani! insieme alle arancine!! XD
Spero che tu non ne abbia mangiata troppa. Ahahahahahha